Accogliendo l'invito di un lettore, proviamo a trattare un argomento d'infinita importanza e sempre attuale:
l'interruzione volontaria della gravidanza, tema inscindibilmente connesso con quello del valore da dare alla vita umana. Data l'estrema delicatezza dell'argomento stesso, ci scusiamo fin d'ora se, in qualche passaggio, appariremo superficiali, poco informati o insensibili verso le sofferenza di taluno. V'invitiamo, anzi, fin d'ora, a segnalarci prontamente eventuali incongruenze. Così come speriamo che da questo articolo possa partire un breve ma profondo dibattito che speriamo costruttivo e che comunque dovrà essere affrontato "con i piedi di piombo" e con cognizione di causa. A tale dibattito ci piacerebbe che partecipassero anche i non cattolici. Tutti coloro, cioè, che aderiscono ad un'altra confessione cristiana, ad un'altra religione ovvero a nessuna. Tra questi ultimi, ricordiamo la figura di Norberto Bobbio il quale, nel dibattito sui vari referenda che, nel 1981, tendevano, uno, ad abolire o, altri, a modificare, in senso estensivo o restrittivo, la legge 194/1978 che aveva depenalizzato l'aborto volontario, aveva - con sorpresa di alcuni - espresso la propria contrarietà all'aborto stesso, equiparandolo, nella sostanza, alla soppressione volontaria di una vita umana.
L'occasione immediata per la richiesta del lettore e, quindi, per la composizione di quest'articolo ci è fornita dal discorso tenuto da Papa Benedetto XVI lunedì 12 maggio 2008, in occasione dell'incontro con alcuni militanti del Movimento per la Vita, a trent'anni esatti dall'entrata in vigore della citata legge.Ma veniamo ad alcune delle parole del Pontefice, tratte dal resoconto fattone dal "Corriere della Sera" di martedì 13.
"Il rispetto della vita è la prima giustizia da applicare"."Guardando ai passati tre decenni non si può non riconoscere che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo".
"L'aver permesso di ricorrere all'interruzione della gravidanza, non solo non ha risolto i problemi che affliggono molte donne e non pochi nuclei familiari, ma ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze".
I tre brani surriportati sono stati, tutti, estrapolati da Luigi Accattoli per la composizione del suo articolo apparso a pagina 5 del citato numero del quotidiano di Milano.
Ma il Pontefice, riferisce sempre Accattoli, non si è limitato all'invettiva contro la ferita dell'aborto volontario ma ha anche richiamato le forze politiche, sociali e culturali nonché le coscienze dei singoli a prestare molta maggiore attenzione al tema, strettamente correlato, del sostegno economico e morale nonché della valorizzazione culturale della famiglia. Cosa della quale le leggi e le pratiche amministrative e sociali italiane si fanno carico, a giudizio del Papa, in una maniera assolutamente inadeguata.
Ma torniamo a quella che, a mio parere, è la più significativa delle espressioni di Ratzinger: "L'aver permesso di ricorrere all'interruzione della gravidanza (...) ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze".
Tutti ricordiamo come già Papa Giovanni Paolo II fosse, con il suo straordinario vigore fisico e morale, paradossalmente visibile anche - e forse soprattutto - negli anni della decadenza fisio-patologica, uno strenuo avversario della pratica abortiva e delle legislazioni che, in qualsiasi modo, la permettono o tollerano. Quanto dolore ricevette dalla sua Polonia quando anch'ella si accinse ad intraprendere la strada già percorsa, prima di lei, dalla maggior parte delle Nazioni occidentali!
Personalmente, ritengo che la decisione consapevole e la conseguente azione di interrompere una vita umana, anche allo stato embrionale o fetale, sia qualcosa di aberrante per la coscienza personale e collettiva. Al tempo stesso, però, non riuscirei a non considerare oppressivo ed aberrante anche quello Stato che, in una forma o in un'altra, "obbligasse" una donna a portare a termine una gravidanza. Né mi sento, in tutta coscienza, di poter equiparare moralmente un aborto praticato per superficialità ad uno posto in essere perché la madre correrebbe seri rischi per la sua vita o la sua salute se portasse a termine la gravidanza o se il nascituro risultasse, da indagini diagnostiche inequivocabili, destinato ad una vita di atroci e continue sofferenze. Altrettanto attenuante del male fatto ricorrendo all'aborto è il caso, secondo me, della sua attuazione a seguito di una gravidanza iniziata a causa di una violenza sessuale, soprattutto se la vittima è minorenne.
Spero che nessuno rinvenga, in queste mie considerazioni, una giustificazione della pratica abortiva. Ma credo, in tutta coscienza, che una tematica così complessa e delicata non si presti ad essere ricondotta a "parole d'ordine" semplici e valide in qualsiasi circostanza.
Non credo, per esser chiari, che lo Stato possa punire chi faccia ricorso all'aborto volontario, salvo quando non segua le corrette procedure previste dalla vigente legislazione. E questo non toglie nulla all'inaccettabilità morale dell'interruzione volontaria della gravidanza, ma riconosce il principio, per me essenziale, che non sempre il peccato - anche gravissimo come in questo caso - possa essere punito come reato.
Quello che del discorso papale va, secondo me, valorizzato è l'accorato richiamo alla ribellione allo svilimento del valore della vita che, assumendo connotati tragici nel momento nel quale si decide di attuare un aborto, ha, tuttavia, radici più profonde ed espressioni varie tutte quelle volte nelle quali alla vita non è data la giusta importanza: in famiglia, a scuola, nel lavoro, nell'assistenza sanitaria... Ogni volta che un operatore sanitario non presta la dovuta attenzione al paziente; ogni volta che un imprenditore, per massimizzare i profitti, risparmia proprio su ciò su cui mai dovrebbe: la sicurezza sul lavoro; ogni volta che agli studenti non si illustrano con chiarezza i rischi per la vita e la salute che implicano certi comportamenti: in tutti questi casi - per superficialità, ignoranza, mancanza di coscienza - si contribuisce a banalizzare il valore della vita.Per tutte queste considerazioni, penso che lo Stato, la società e - in essi - principalmente i cattolici debbano impegnarsi affinché ogni donna sia messa nelle condizioni morali, psicologiche, culturali, economiche e sociali di poter rifiutare l'aborto e scegliere la vita.La legge 194/1978 è, dunque, un male. Ma un male che, alla luce di insuperabili considerazioni, può essere definito necessario. Urge, piuttosto, da parte dei cattolici in primo luogo ma di tutti gli esseri umani di buona volontà, una mobilitazione consapevole che "pretenda" l'applicazione integrale di questa legge, soprattutto per quelle sue parti che la configurano come uno strumento per la tutela della maternità e della vita "fin dal suo inizio" e contro il controllo delle nascite.
Giovanni Panuccio
Giovanni Panuccio
Nessun commento:
Posta un commento